19 marzo 2019, ore 10:00, in Portico di Caserta, presso l’Istituto Comprensivo “San Giovanni Bosco”, incontro dibattito per ricordare il 25esimo anniversario dell’uccisione di don Peppino Diana.
Il 19 marzo di 25 anni fa, quando don Peppino Diana, il giovane parroco di San Nicola di Bari a Casal di Principe, veniva ucciso da un killer della camorra nella sua sacrestia cinque minuti prima dell’inizio della Messa di san Giuseppe, Casal di Principe era la terra del clan.
Il clan dei Casalesi, che era strutturato con una forza notevole dal punto di vista economico e imprenditoriale, non è ancora stato distrutto. Manca ancora molto del suo “tesoro”, della sua ricchezza, del frutto degli investimenti di denaro e attività. Basta pensare che tutte le grandi arterie stradali intorno a Napoli sono state costruite dalle imprese del clan dei Casalesi. Basta pensare ai consorzi che erano stati creati sul calcestruzzo, sulle cave, sugli inerti. Basta ricordare le migliaia di imprese che ruotavano nel circuito del clan dei Casalesi. Alcuni titolari di queste imprese sono stati arrestati, ma non tutti, e quindi c’è ancora un circuito del clan ancora attivo. Finché quel circuito non verrà annientato totalmente, c’è sempre la possibilità, attraverso la loro ricchezza, di ricostituirlo. La struttura militare si ricompone, si rinnova, bastano pochi soldi, soprattutto in un momento di disoccupazione come questo.
Il suo sacrificio è stato per noi un insegnamento, bisognava raccogliere quel testimone insanguinato e fare in modo che quella morte non fosse inutile, ma che producesse un cambiamento. Noi oggi diciamo che quell’atto terribile, il 19 marzo, è stato la fine della camorra e l’inizio di un percorso di riscatto e di rinnovamento. Certo oggi queste terre sono ancora terre di camorra, ma ad oggi possiamo dire con orgoglio che ci sono anche le terre di don Peppe Diana.
Con la sua morte abbiamo trovato il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome.
Il coraggio del testimone che era accanto a don Peppe è stato determinante per rompere il muro di omertà.
Venticinque anni fa il killer aveva risparmiato il testimone Di Meo perché era sicuro che mai lo avrebbe denunciato, e invece Augusto andò dai carabinieri e raccontò tutto, permettendo la cattura del sicario, poi pentito, e anche la condanna dei mandanti. Fu un atto di grande coraggio, perché 25 anni fa c’era paura perfino a pronunciare la parola “clan dei Casalesi. Si è avuto modo di accertare la verità, perché la macchina del fango all’epoca aveva distrutto anche la sua figura. Oggi viviamo in queste terre che non sono più terre di camorra bensì terre di don Peppe Diana, con beni confiscati, ridati alla comunità, e un popolo in cammino che riesce a rialzare la testa. Il suo coraggio di aver paura, ha dato lo stimolo di iniziare un nuovo cammino nel segno di don Peppe Diana.